
Trovare l’ispirazione per scrivere
Non più di un mese fa, ho letto il romanzo di Melania Mazzucco Lei così amata, dedicato ad Annemarie Schwarzenbach. Annemarie era un personaggio straordinario, su cui tornerò in qualche altro post. Quello che mi interessa adesso è agganciarmi alla trama per parlare di scrittura e di ispirazione. Vediamo in che modo.
Annemarie è stata una scrittrice, saggista, fotografa e giornalista svizzera vissuta tra il 1908 ed il 1942. Mazzucco ripercorre la sua vita, in parte attenendosi ai documenti (come la fitta corrispondenza tra Annemarie ed i figli di Thomas Mann, Klaus ed Erika), in parte aggiungendo dettagli di fantasia.
Dopo una serie di vicende tormentate, Annemarie si ritrova in Congo, cuore nero dell’Africa. Proprio nella terra in cui tutti si perdono, lei sembra ritrovarsi, trovando anche l’ispirazione per il suo libro migliore. Lo scrive di ritorno da un viaggio durato mesi nella foresta più impenetrabile, lo scrive di getto, senza pensare ad altro, quasi lo vomita. Terminato il libro, sfinita, si ammala. Quando si riprende, non è più la stessa donna di prima, piena di ombre e fragilità.
Leggendo questa parte della vita di Annemarie, mi chiedevo se scrivere non fosse sempre simile ad una febbre. La risposta è che non lo credo, no. Ogni volta che nella mia vita ho scritto qualcosa di buono ho sempre dovuto faticare, progettare, rimaneggiare, riscrivere. Eppure, credo che esista un momento irrazionale ed incontrollabile: quello dell’ispirazione.
L’ispirazione può arrivare in qualsiasi momento, ma ci sono delle situazioni in cui è più difficile trovarla: lo stress, la routine, l’affanno di una vita alla rincorsa producono frustrazione e inaridiscono lo spirito. Al contrario, il tempo ed il vuoto per pensare, per dare ai pensieri il tempo di macerare e di germogliare, illuminano la mente e, soprattutto, lo sguardo. Sì, perché occorre uno sguardo illuminato, per scrivere. Uno sguardo che vada oltre le apparenze, una specie di vista a raggi X che sia in grado di comprendere i nessi tra gli oggetti, le persone, le emozioni, e che allo stesso tempo sia in grado di descrivere forma, colore e consistenza delle cose.
Il viaggio aiuta a scrivere, perché nel viaggio la mente è sgombra e si apre al nuovo. Il diverso aiuta a scrivere, perché produce uno scollamento da noi stessi che mette in moto la creatività. La solitudine aiuta a scrivere, perché ci mette a contatto con la parte di noi in cui tutto è rumoroso silenzio. Ma anche la moltitudine aiuta a scrivere, perché è materiale da osservare e riportare sul foglio.
La cura dell’anima aiuta a scrivere.
Anche l’ispirazione, però, vuole un certo grado di routine. Così, lo scrittore ha piccole abitudini che lo aiutano: una tastiera con un rumore familiare, un taccuino scribacchiato, uno stato di benessere nella pancia e sulla pelle, la luce a una certa ora del giorno.
Quando scrivo un racconto, io ascolto la stessa canzone finché non ho finito. Una canzone, un racconto. Quando ho in mente qualcosa da scrivere, scelgo accuratamente il brano, perché so che sarà la musica a determinare il mood del mio testo. Questa è la mia piccola abitudine per mantenere intatta l’ispirazione. Ispirazione che arriva, come sempre, quando sono pronta ad accoglierla.
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Vero, ci vuole uno sguardo illuminato per scrivere
ho visto che anche tu hai un blog di scrittura! tu dove la trovi l’ispirazione?
si penso anch’io che scrivere sia la cura dell’anima e l’ispirazione è una elaborazione di esperienze
Ciao alexia e benvenuta nel blog! Hai ragione: quando le esperienze sono in corso di elaborazione, di assimilazione e di fermentazione, le idee escono fuori con naturalezza. Ho però notato che anche i momenti di “buio della scrittura”, quelli in cui non mi esce nemmeno una parola, sono in realtà un periodo di incubazione per qualche cambiamento davvero importante. Non so come spiegarti: è come se quel silenzio fosse l’attimo in sospensione tra il lampo ed il tuono rumoroso, quando al silenzio segue il boato. Così anche per me: se mi sembra di non avere ispirazione per nulla, poco dopo mi accorgo di aver elaborato proprio in quel “mutismo”.